Rudy Bandiera. Il futuro è nel gioco.

Nov 06, 2020

Durante il Live Show di giovedì 5 ottobre ho avuto il piacere di intervistare Rudy Bandiera: autore, creator, anchorman, docente e gamer, Rudy è un personaggio eclettico che ci ha parlato di come le aziende italiane stiano scoprendo le potenzialità del gaming, ma anche del rapporto tra adulti e videogame e del futuro dei videogiochi. Per quanto riguarda le imprese, secondo Rudy oggi il gaming sta entrando nel business sotto una forma correlata al mondo della gamification. Le aziende si stanno lentamente rendendo conto del fatto che i videogiochi sono un investimento redditizio, perché si rivolgono a un target a cui è impossibile arrivare attraverso altri canali.

Infatti, se negli anni Ottanta si voleva vendere un prodotto ai più giovani, bastava fare una pubblicità durante un programma di successo come Bim Bum Bam. Ma oggi lo stesso target non guarda la tv e non ascolta la radio, mentre invece frequenta YouTube e Twitch. Perciò, per arrivare ai ragazzi bisogna utilizzare canali alternativi relativi al mondo dei gamer o di chi parla di videogame. E in quest’ottica si sta sviluppando un enorme sistema che sta per sbocciare, anche se non è ancora maturo. Rudy ha tra i suoi clienti Bungie, l’azienda che produce il noto videogioco Destiny, che si distingue per la qualità della sua comunicazione. Per usare le sue parole, “non vendono un videogioco in cui si spara agli alieni, ma vendono valori”. Quindi a suo parere vale la pena seguire le aziende che producono videogame per capire come comunicano, perché sono diversi anni avanti.

In ogni caso, oggi tendenzialmente i videogiochi sono ancora bistrattati: se un uomo di cinquant’anni dice di giocare con una consolle o di guardare giocare qualcuno su Twitch viene considerato poco maturo. Invece andare allo stadio per vedere una partita di calcio viene considerato una passione. È una dicotomia incomprensibile, poiché guardare Cristiano Ronaldo perché è bravo a giocare a calcio è come guardare Ninja perché è bravo a giocare a Fortnite: il concetto è lo stesso, soltanto che culturalmente non è accettato. Ad ogni modo tra qualche anno fortunatamente questa percezione cambierà, perché la generazione di adesso sta crescendo con le consolle.

Inoltre bisogna considerare che esistono delle vere e proprie opere d’arte all’interno dell’ecosistema dei videogiochi, che si è sviluppato molto di più, molto più in fretta e in modo molto più performante rispetto ad esempio al cinema, alla radio e alla tv. Alcuni videogame, come Detroit o Red Dead Redemption, sono dei veri e propri capolavori. Si pensi che per il New York Times quest’ultimo segna l’entrata in una nuova era fatta di arte, di creatività, di tecnologia e di innovazione straordinaria. Non a caso la sua sceneggiatura originale è composta da oltre duemila pagine, cioè il doppio di quelle de Il Signore degli Anelli, il che lo rende a tutti gli effetti un’opera titanica.

E il futuro dei videogiochi quale sarà? Per Rudy, c’è un acronimo che lo riassume: GAAS, ossia Games As A Service. I videogame sono sempre meno prodotti e più servizi: ad esempio Microsoft vende l’Xbox, che naturalmente è un prodotto, ma vende anche un’insieme di esperienze di gaming in abbonamento che si chiama Game Pass, una sorta di Netflix in cui si hanno a disposizione almeno un centinaio di giochi. Quindi per Rudy nel prossimo futuro le aziende costruiranno ecosistemi sempre più grandi, che permetteranno alle persone di giocare ovunque. In questo senso, le imprese diventeranno per prime produttrici di contenuti: la consolle sarà un semplice strumento, ma il vero valore aggiunto sarà dato da questi ecosistemi che permetteranno di fare esperienze sociali, di gioco e di divertimento.

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