Paura e fiducia: il coronavirus e gli esseri umani.

Mar 31, 2020

In questo Caffettino voglio raccontarvi una storia. Una storia che mi riguarda e che apparentemente a poco a che vedere con il periodo che stiamo vivendo. Sopralluogo, mezz’ora prima dell’evento. Ero sul palcoscenico del teatro e insieme a me, in platea, c’era l’amico e collega Ivo. La situazione era complicata, non perché fossimo stanchi dopo tre mesi in giro per i maggiori palchi italiani per eventi, formazione e presentazioni. E neanche per l’evento stesso che ci vedeva ogni giorno in diretta sui social. Più che una stanchezza, era una paura psicologica.


Eravamo concentrati su quella serata e non perché non ci fossimo preparati, ci eravamo preparati alla grande. E non perché non avessimo fatto della gavetta, anzi. Avevamo fatto tanta gavetta, quella vera, dove la paura ti accompagna da quando sei un ragazzino ad oggi che hai qualche anno di più. Allora i problemi erano più importanti, almeno secondo la tua scala di giudizio. Ma poi arrivano quelle sfide decisive per la tua carriera professionale. Non le affronti per per chi ti dà l’opportunità di lavorare, per il pubblico o per chi ti segue da casa. Sono le tue sfide personali. Sono sfide che ti crei da solo e che naturalmente vuoi dominare per poi uscirne vincitore.


E in quell’occasione la sfida era fare una presentazione in un teatro senza rete, senza aiuti, senza piano B, senza sicurezze. E questo a noi un po’ piaceva. Ciò che spaventa è quello che non sai, quello che non vedi, quello che non tocchi e quello che non puoi dominare. Mentre cammini sul palco il legno scricchiola e ne senti l’odore, senti anche l’odore del tessuto e il calore delle luci. E mentre cammini sul palco cercando di immaginare te stesso di lì a poco di fronte alla sala gremita, ripensi alla scaletta. Una scaletta che non si chiude mai, perché quella sera era ancora dannatamente aperta.


Il momento prima di salire sul palco è emozionante. In quel momento io mi chiudo in camerino e ascolto le mie tre canzoni preferite, che mi permettono di andare in scena con il vuoto mentale e di affrontare la situazione come quando siamo tra di noi, in tranquillità. Tre canzoni che mi permettono di parlare come se fossi una persona qualsiasi, perché hanno la capacità di annientare la tensione, i pensieri, le criticità e le nevrosi di quei momenti.


Ma è arrivata l’ora di andare. Mi alzo, mi sistemo, spengo la luce, chiudo il camerino e vado verso il palcoscenico. Qualche secondo prima che si para il sipario e che io possa dire “buonasera e benvenuti”, mi guardo attorno e vedo delle persone: quelle con cui ho appena chiuso la scaletta, con cui abbiamo cercato di fare qualche prova in pochi minuti. E mi fido di loro. Mi fido dei tecnici, di chi sta aspettando che parli, di chi è lì per lavorare. Nei secondi in cui vivo quell’emozione mi rendo conto di avere una grande possibilità e di riempirmi di energia. Questo perché mi fido degli esseri umani. E la fiducia è ciò che in quel momento preciso mi fa sentire vivo sul palco.


Dopo un’ora e mezza in quel teatro, scenderò dal palcoscenico e sarà andato tutto bene. Fine della storia, che chiaramente è una metafora delle tante cose che ci accadono nella vita. Anche in questo periodo, dove per assurdo ciò che è accaduto quella sera è l’esatto contrario di quello che sta accadendo adesso. Perché oggi non incontriamo persone, non abbiamo la possibilità di condividere con altri esseri umani le nostre sensazioni e non possiamo uscire. O meglio, non possiamo rinchiuderci dentro perché siamo sempre rinchiusi e di conseguenza non abbiamo percezione del nostro momento di intimità.


E la cosa peggiore che possiamo fare è non uscire da quel camerino. Il fatto è che non dobbiamo semplicemente vedere l’ora di uscire, ma di fare. Non dobbiamo dimenticarci ciò che stiamo vivendo ora e che ci spaventa, anche se non siamo in guerra e non siamo di fronte a un problema insormontabile. E qui torniamo alle nostre paure, alle nostre sfide personali, alle nostre criticità e alle nostre nevrosi, che sono da risolvere. Naturalmente dobbiamo farlo piano, con i nostri strumenti, però dobbiamo venire fuori da questa situazione e avere la giusta paura che ci permette di reagire.


Il discorso vale anche per tutti quei professionisti e quegli imprenditori che ogni giorno cercano di sopravvivere e hanno una paura tremenda dello scricchiolio di quel palcoscenico. E hanno paura dell’odore che stanno sentendo, perché non lo possono toccare, ma soltanto avvertire. Quindi non dobbiamo dimenticarci questi momenti, ma ricordarci di assaporarli per quando staremo meglio.


E voi cosa ne pensate?


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